Volano gli allievi sperimentali della Sambonifacese. Il tecnico Bragantini: “Siamo in crescita costante, continuiamo così”
by Redazione Calcio Dilettante Veronese 18 Febbraio 2014Primato indiscusso. Volano più in alto di tutti, gli allievi sperimentali della Sambonifacese. Inseriti nel girone storicamente più duro e affascinante dell’intero Veneto, i ragazzi di Simone Bragantini hanno messo in riga tutti, grandi comprese. Non c’è storia: ben otto punti di distacco dalla seconda sono un dato sufficiente per fotografare l’ascesa dell’undici rossoblù. In tempi duri per la prima squadra, ora però in ripresa, una nota lieta è grande musica per le orecchie della dirigenza rossoblù. Segno che, volenti o nolenti, un occhio di riguardo al settore giovanile premia sempre.
Mister, proponga un suo commento sulla stagione.
“Siamo arrivati a metà stagione e la mia analisi è nel complesso positiva. Sarebbe però poco costruttivo fermarsi ad osservare solamente il risultato delle partite o l’attuale prima posizione in classifica dato che, trattandosi della categoria Allievi, l’obbiettivo mio e dello staff tecnico è quello di far
completare ai ragazzi il loro percorso formativo all’interno del settore giovanile e di fargli raggiungere una maturazione calcistica soddisfacente tale da renderli pronti al salto di categoria verso le prime squadre. Il nostro compito è di trasmettergli una filosofia di gioco propositiva: devono essere capaci di mettere le proprie potenzialità e qualità al servizio della squadra”.
Qual è l’aspetto che più la gratifica per la crescita dei ragazzi?
“Ciò che più mi gratifica è il percepire la partecipazione e il coinvolgimento dei ragazzi. Quando diventano curiosi e iniziano a fare domande a me o ai miei collaboratori, vuol dire che stanno facendo “loro” le nostre proposte”.
Cosa significa allenare per lei?
“Allenare è per me l’opportunità di potersi confrontare sempre con altre persone e di rimanere attivi mentalmente. Se si vuole allenare con un certo criterio bisogna sempre aggiornarsi oltre che a rinnovarsi continuamente. Il calcio non è solamente tecnica e tattica, ma tra gli aspetti importanti che devono essere approfonditi vi sono la pedagogia, la psicologia, la scienza e il
corpo umano. Bisogna volersi migliorare costantemente, perché quando ci si ferma si è perduti”.
Esiste ancora la passione d’un tempo?
“La passione c’è sempre, ma sono cambiate le abitudini della società in generale. Quando ero adolescente, ci trovavamo quasi tutti i pomeriggi con gli amici a giocare a calcio o a basket nel campetto parrocchiale, mentre ora i ragazzi hanno altre distrazioni. Dobbiamo essere noi allenatori a capire che i tempi passati non tornano, e gli allenamenti devono anche colmare le lacune create dal non saper giocare all’aperto dei nostri ragazzi”.
Lei si rivede nei suoi ragazzi?
“Sono convinto che nello sport in generale, il modo con cui si esprime in campo una squadra rappresenta la carta d’identità dell’allenatore. Osservando invece l’aspetto caratteriale, essendo stato io stesso un adolescente, certe esperienze le ho già passate, e quindi a volte vedo in loro comportamenti e situazioni già provate sulla mia pelle”.
Come si riesce a farsi ascoltare? La molla, metaforicamente parlando,
dov’è?
“È necessario essere sinceri e coerenti sempre, dare rispetto e utilizzare un linguaggio semplice. Ricordarsi che i nostri interlocutori hanno una testa pensante”.
Quali sono le prospettive con cui inquadra la sua carriera d’allenatore?
“Nel 2001 quando ho iniziato ad allenare mi sono posto degli obbiettivi, alcuni sono stati raggiunti mentre altri non ancora. Spero di ricevere delle proposte che possano aiutarmi a farlo. Sicuramente voglio collaborare con dirigenti e società che antepongono i fatti alle parole”.