Dici gondoliere e a quelli che vent’anni li avevano…vent’anni fa s’accende la lampadina. «Voga e va, gondolier…» faceva una vecchia canzone popolare. Quanto ha vogato, il vecchio gondoliere, quante corse ha fatto, «perchè ognuno di noi ha un destino e a quello deve sapere rispondere. Il mio destino era quello di correre, perchè quelle erano le mie qualità. Mica potevo fare come Zigoni…».
Il gondoliere, chi vuole bene al Verona lo sa, si chiama Stefano Trevisanello, «… un venexian innamorato di Verona», ammette oggi, 48 anni suonati, col rammarico di chi profeta in patria non lo è stato del tutto. «Boh- spiega- ho l’impressione che mi abbiano apprezzato di più lontano da Venezia. A Verona di sicuro, ma anche a Padova è stato così. Forse è perchè eravamo in A, mentre nel Venezia ho fatto bene ma eravamo in C. Altra storia, altro fascino, la serie A…».
Parli al telefono e in sottofondo c’è il rumore del mare, il vaporetto che va, te lo immagini al lavoro, legandolo a un soprannome senza tempo. Chissà, sarà stato gondoliere, prima di giocare… «… e invece non c’entra col lavoro. Gondoliere mi chiamò Valentino Fioravanti, un suo collega, me lo saluti, eravamo amici. A volte si usciva assieme, lui aveva un soprannome per tutti e a me diede quello di gondoliere. Bei tempi…». Il balzo della memoria, sprazzi di calcio che non c’è più, «… ma non è solo quel calcio, ad essere finito», racconta Trevisanello. «E non facciamo retorica, che si rischia sempre di esagerare. Era un altro calcio e basta, non so se più bello o meno bello, non so se più vero o meno vero. Era diverso, questo sì. E c’era spazio anche per altri valori, che magari ci sono ancora ma forse non come allora. L’amicizia, i rapporti, la squadra era quasi sempre anche un gruppo di amici. Almeno noi lo eravamo, quasi una cosa sola, anche con i tifosi. Oggi è diverso, tutto qua».
Lascia parlare la storia, anche se la sua, corregge, «è una storia con la s minuscola e non dobbiamo confondere le cose. Ma la storia è lì, non la vuole guardare soltanto chi non ce l’ha. Invece la storia ha spesso tante cose da insegnare, basta saperla rileggere». Trevisanello l’ha ripassata, la sua piccola storia, «oggi che cerco di insegnare calcio ai ragazzi del Padova». Padova è diventata la sua città, inseguendo un pallone che rotola e forse non è un caso che anche da allenatore il venexian non sia stato profeta in patria. «Lavoro qui dopo aver allenato a livello di C2, sono stato tra l’altro a Crotone, a Valdagno, a Thiene. Non ho una squadra, collaboro con i tecnici, cerco di dare un po’ della mia esperienza».
Quando calcio e vita si mescolano per bene, quando la scuola non è solo e sempre pressing e fuorigioco, schemi e ripetute, ma è qualcosa di più, qualcosa di diverso. «Vede- riprende- a volte guardo il calcio di oggi e penso che qualcosa si sia inceppato, che ci sia qualcosa che non gira più nella giusta direzione». Perchè? Trevisanello sorride. «Perchè oggi chiederebbero il pressing anche a Zigoni. Mi capisce, vero? Se l’immagina lei il vecchio Zigo costretto a far pressing? Dopo due minuti, direbbe "caro mister, il pressing lo fa lei, mi son Zigo"». E allora via con la sarabanda dei ricordi, «del vecchio Valca e di Ciccio Mascetti che ha avuto molto meno di quanto meritava perchè oggi uno come lui giocherebbe in Nazionale. E Maddè, Luppi, sarà stato anche un Verona un po’ stagionato, ma si divertiva e magari divertiva pure. E Valcareggi, sa, era uno che capiva come girava il mondo. Se tu sapevi correre, ti faceva correre. Ma se tu avevi fantasia, non la metteva in gabbia. Zigo in gabbia, se l’immagina? E Garonzi, il povero Garonzi… Mi ricordo, quando il Verona mi acquistò. Mi telefonò Fiumi, il segretario. Mi disse, "le passo il presidente". "Son Garonzi, piacere", cominciò. E subito: "Seto forte?". Uomini così mancano al calcio di oggi». Anche i gondolieri, forse, mancano al calcio di oggi.