La nostalgia corre veloce, la nostalgia marca stretto, come faceva lui. La nostalgia ha baffoni inconfondibili, neri e folti, «non me li sono mai tagliati, sono sempre gli stessi». Se girate tra chi vuole bene al Verona e non ha più vent’anni, a chiedere il nome di un difensore coi baffi, nove volte su dieci vi risponderanno «Logozzo».
Eccolo qua Tonino nostro da Gioiosa Ionica, cinquant’anni passati e 4 figli, «di cui due, le ragazze più grandi, nate proprio a Verona, capite perchè quella è anche la mia città?», spiega il difensore coi baffi. A proposito, mica vero che li abbia sempre portati. «Ha ragione. Una volta me li tagliai, avevo perso una scommessa». Lui e Superchi. «Erano ormai sedici partite che il mio attaccante non segnava» ricorda Logozzo. «Ci aspettava il Genoa e a me sarebbe toccato Pruzzo. Superchi mi disse, «se segna, ti tagli i baffi». Va bene, dissi». Il lunedì era senza baffi. «Porca miseria – ride Logozzo – Pruzzo me ne fece addirittura due. Però la partita la vincemmo noi, 3-2. Me li tagliai volentieri, via…».
Sedici partite senza far segnare il suo attaccante. Storie di ieri, quando i mastini facevano i mastini e la zona era sempre e solo quella «calda», dove sta il Verona di oggi. «Era un altro calcio, punto e basta. Non so se più bello o meno bello di questo, so soltanto che non ho rimpianti, nemmeno per i soldi che sono sicuramente diversi dai nostri. Io penso di aver fatto una buona carriera e di essermi divertito per vent’anni. E a chi dice che forse quelli della nostra generazione oggi farebbero fatica, rispondo che non ne sarei tanto sicuro. Se uno era bravo, lo sarebbe anche oggi». E il Verona? «A quello di oggi, dico, in bocca al lupo. Non mollate, ce la farete. Del mio, ricordo tre anni bellissimi, con un gruppo di amici, alcuni dei quali ogni tanto mi vengono pure a trovare. Ho rivisto Superchi, Negrisolo, han passato le vacanze qui con me». Il mare di Calabria per coprire un po’ le foto di Verona. «Gente meravigliosa, ho ancora amici, ci si sente. E poi le mie figlie, veronesi. E la città, la simpatia della gente, il bar di Giorgio Bissoli, il Calmiere, i Torcoloti, il Re Teodorico. E Zigoni, e il povero Garonzi. Quante cose lei mi fa ricordare…».
Oggi lavora al consorzio agrario, «assieme a mio nipote. Sa, potevo essere in pensione a 45 anni, ma hanno cambiato tutto e ho dovuto lavorare fino a 49». La sua carriera di mastino è finita a Catania, «all’Atletico, in C2. Poi ho allenato parecchie squadre, a livello di C e Interregionale, ho fatto anche il secondo a Colautti. Forse, fossi rimasto al nord, qualche squadra l’avrei trovata. Anche perchè, ho giocato in tante squadre e qualche ricordo buono l’ho lasciato». Sorride. Anche Verona ricorda quel difensore che non mollava mai. «Sì, questo piaceva alla gente. Ero uno arcigno, uno che dava tutto, attaccato alla maglia». Grinta spianata e anima tra i denti. Uno di quelli che non si dimenticano mai