Calcio del popolo, o popolo del calcio? Riflessione sul dilettantismo

Calcio del popolo, o popolo del calcio? Riflessione sul dilettantismo

by 30 Gennaio 2014

Prosa e poesia, spesso, nel dilettantismo vanno a braccetto. A star assieme, inoltre, spesso si divertono pure. Perchè nei campi da calcio scendono uomini, prima che calciatori. Operai, medici, professionisti, impiegati, imprenditori, prima che portieri, difensori, centrocampisti e attaccanti. Prima che uno sport è un romanzo popolare: l’abbiamo scritto mille volte. E’ il romanzo della passione di una vita che s’inerpica ovunque, anche laddove la morsa degli impegni sembra ineludibile. Certe storie sono quasi commoventi: negarlo è impossibile.

Ma non è tutto oro quello che luccica. A parlare di passione sono capaci tutti. Dov’è nascosta, tra le vie del dilettantismo, tanta passione? C’è nei sacrifici, negli allenamenti sotto l’acqua o nel fango, nelle trasferte infinite, nelle rinunce del sabato sera e nella mai uguale routine delle domeniche. C’è nei ricordi delle vittorie, nel profumo dei derby minori, nei racconti delle condivisioni vissute assieme.

Oggi però, qualcosa scricchiola, qualche ingranaggio s’è rotto. Non che un tempo fosse tutto perfetto. Anzi, l’epoca ruggente dei grandi soldi ha prodotto danni incalcolabili: al calcio come all’economia. Certi compensi elargiti è meglio non ricordarli nemmeno, per conservare nell’animo di chi li ha messi nel piatto un minimo di dignità. Qualcuno mormora: non c’è più la passione d’un tempo. Che sia vero? E’ la passione che manca, o mancano i soldi, che giustificano tante corse, tanti sacrifici?

Il dubbio è legittimo. E’ legittimo perchè i campi sono sempre quelli, le regole sono cambiate poco, il pallone è rimasto rotondo, per tutti. Nemmeno i riti sono cambiati: c’è ancora il gusto per lo stare insieme, sono vivissime le manie, la tendenza a commentare con ironia ogni questione, rendendola divertente, la brillante capacità di sdrammatizzare qualsiasi cosa, le scaramanzie, i mille aneddoti che ci contraddistinguono. Eppure, affiora una certa inappetenza.

C’è chi si muove solo per una certa cifra, chi promette e non dà, chi cambia opinione ad ogni passaggio sbagliato o riuscito, chi sorride davanti e pugnala alle spalle. A volte ‘passione’ è un vocabolo che riempie la bocca, e basta. C’è chi con il rimborso, chiamiamolo così, riuscirebbe a campare. Chi si paga di tutto, lasciando i guadagni del lavoro tra i risparmi. E’ raccapricciante: siamo di nuovo al punto di partenza. Calcio come viatico per un facile guadagno.

E’ inutile alzare le spalle: è ancora così. Perchè quando si ha ambizione c’è sempre qualcuno che mette mano al portafoglio e s’assicura questo o quel giocatore, salvo poi scoprire che tanto speciale, tanto superiore, magari non è. ‘Servono i soldi, se vuoi vincere’, dice, con discutibile convinzione, più di qualche direttore sportivo. E’ una verità a metà: lo sapete bene. Non diciamo i casi di squadre costruite con i milioni e arrivate alla salvezza per il rotto della cuffia. Qualcuno potrebbe offendersi, e non vorremmo mai. Come scriveva Voltaire, la critica non va a chi recinta un pezzo di terra dicendo che è suo, va verso chi ci crede.

Fuor di metafora, va contro i presidenti che decidono di destinare cifre folli nel pallone. Per carità: sono scelte. Chi ha disponibilità economica può decidere di servirsene come vuole. Però è anche vero che le notizie di certi stipendi in certe categorie fanno male. Rendono il nostro calcio, il calcio del popolo, un loro giocattolo, per il quale chi legge, e chi vi scrive, diventa parte del popolo del calcio. Un popolo di marionette mosse dalla pecunia, che fa dello sport un pretesto per riempirsi la bocca, lo ripetiamo, e un viatico per gonfiare le casse con un divertimento.

Non è nemmeno vero che il pallone rivive nelle categorie più basse, dove, dice qualcuno, la passione c’è ancora. Qualche isola felice c’è, certo. Ma fatevi un giro per i campi di Seconda o di Terza, anche qualche Prima, a dire il vero. Capita di vedere allenamenti con massimo dieci persone, nessuno disposto a provare nulla che sia differente della partitella, nessuno che concepisce il calcio come tale, uno sport, e non un passatempo con cui dilettarsi e basta, senza nessun impegno. Per quello, c’è l’oratorio, c’è il campetto sotto la chiesa, ci sono le partite di calcetto o calciotto con gli amici. Il calcio, beh, è un’altra cosa.

Manca la fame, la fame di sport, la voglia di sudare, di arrivare alla sera col sorriso perchè comincia l’allenamento. Per carità, non sempre è possibile. Ma sarebbe opportuno che ognuno si guardi dentro. E’ meglio un calcio del popolo, rustico e romantico, o un popolo del calcio, subdolo e inappetente? Probabilmente, la prima ipotesi.

Pensateci, quei popolani del calcio rustico eravate voi in tenera età. Quello è lo spirito, non dovrebbe mai cambiare. Perchè se non si arriva al professionismo si resta in un mondo che campa così: per diletto, con impegno. Piacere e dovere, utile e dilettevole, divertimento ed impegno. Insieme, inscindibili. Al di là dei soldi, dei benefit, della tendenza a scimmiottare i professionisti, che poi non serve a nulla: quando un mondo è diverso dalla natura di cui si è figli, lo sarà sempre. Riportiamo in luce l’identità più candida del nostro calcio. Rivogliamo il calcio del popolo: rustico, imperfetto, dall’animo sincero, rude ma vero, simpatico e patetico, tragico e comico, dal volto sorridente, sempre e comunque.

Il popolo del calcio lasciamolo alle televisioni. Perchè è là che ha diritto di cittadinanza, non altrove.

Riccardo Perandini

Direttore Editoriale Calcio Dilettante Veronese

mail: riccardo.perandini@libero.it