Il calciatore di campagna e il calciatore di città. Analisi di una simpatica diversità ontologica

Il calciatore di campagna e il calciatore di città. Analisi di una simpatica diversità ontologica

by 28 Ottobre 2014

Città e campagna: due mondi diversi, spesso opposti, tanto vicini quanto distanti. Qualsiasi sia la prospettiva, il risultato della ricerca non cambia: chiunque potrebbe notare curiose differenze, ragionando sulle simpatiche antinomie che contraddistinguono i due poli. Che si parli di traffico o di linguaggio, di lavoro o di tempo libero, di moda o di sport. Tra la vita di città e quella di campagna c’è un solco tracciato dalla storia. La sua esistenza è il simbolo di tanta divergenza. La sorte, però, ha voluto che chiunque lo possa valicare, permettendo dunque ai curiosi di accorgersi, passo dopo passo, di tutte le sfaccettature che costituiscono un simpatico scontro di civiltà.

Volendo, sull’argomento si potrebbe scrivere un libro. Noi ci soffermiamo sul lato a noi più caro, giusto per non annoiare il lettore. La domanda è la seguente: dov’è l’antinomia città-campagna nel calcio? Dove, quando e in che termini si realizza? Con occhio sociologico, seguiteci nell’indagine: parleremo del calciatore di campagna e del calciatore di città. Verona ne offre uno spaccato interessante: impossibile negarlo. Accompagnateci nella nostra analisi: giunti al termine, diteci pure la vostra. Ogni commento è gradito e arricchirà il nostro romanzo popolare.

Tra le due categorie, perchè di categorie sociali parliamo, per dirla con Aristotele, uno che amava disporre gli inquilini del mondo all’interno di argute classificazioni, c’è una differenza ontologica, nel senso etimologico e filosofico del termine.

Il calciatore cittadino è, di norma, più istruito. Già dal vivaio lo si nota: i giovincelli della city studiano al liceo, molti con discutibili fortune, ma sempre al liceo, per volere del cielo e dei genitori.

I rustici campagnoli, fanno altro. Già da piccoli sperimentano attività pratiche, appassionandosi spesso di motori. Di norma, frequentano o i professionali o gli istituti tecnici. Un esempio calzante dell’attitudine pratica della popolazione giovanile agreste è il possesso del motorino: il cittadino ha o il Liberty o lo Scarabeo. Scooter dalle linee morbide, eleganti, inteso dall’utenza per ciò che è: un mezzo di trasporto.

Il campagnolo alla sola vista di moto del genere sbotta: “Io non faccio il postino”. Viaggia a gomiti alti sui prodotti delle marche più aggressive, spesso con mezzi talmente elaborati da contribuire all’inquinamento acustico dei paeselli, solcati in lungo e in largo con un insopportabile ronzio.

Ma questo è solo l’inizio. Passiamo al nocciolo della questione: il cittadino vive il calcio come un gioco, concependolo con la stessa intensità di qualsiasi altro trastullo, sia esso un videogioco o quant’altro. La cultura calcistica in città è vicina allo zero. Il cittadino non sente la pressione, non sente emotivamente le partite, snobba l’allenamento, considera l’abbigliamento sociale un’inutile formalità, così come le cene, rozzi simposi post seduta adatti ai nati sull’altra sponda. Si aggira per i campi vestito da passeggio, chi con la camicia, chi con con un abbiglio alla moda. I più educati indossano fugacemente le tute di rappresentanza, ma solo per l’arrivo. Usciti dallo spogliatoio, guai a ripresentarsi su piazza con quelle orrende vesti.

Il campagnolo è l’esatto contrario. Ora i tempi hanno mitigato la passione dei calciatori bucolici, come li chiamerebbe Virgilio, ma la differenza rimane. Il campagnolo ha riti, liturgie, scaramanzie. Dà significato a tutto, vedendo messaggi della sorte ovunque, come un medioevale catapultato nel terzo millennio. Considera sacro l’abbigliamento sportivo, tant’è che a volte lo indossa anche per conviviali uscite con gli amici. In molti amano l’allenamento (la maggior parte perchè seguiti da cena, ma è un altro discorso), tutti, puri o non, vivono la partita con dirompente intensità. Certe zuffe si verificano solo in provincia. Il campagnolo timbra sempre il cartellino alle cene di gruppo, sono eventi sacri, da onorare come la messa alla domenica per i credenti. Il cittadino quasi mai: se lo fa, è perchè ha ricevuto buca dal mondo intero.

Anche il linguaggio li separa. Italiano per i cittadini, violento dialetto per i campagnoli. Quando s’affrontano, chi osserva non può sorridere. In città esistono terzini con piedi di ghisa, ma capaci di rivolgersi all’arbitro rispettando la consecutio temporum in un periodo ipotetico. “E se mi avesse preso!?” grida l’attaccante appena falciato. “Avesse preso!?” Un congiuntivo in campo? Cercateli nei campi di periferia. Se i verbi fossero panini per i vostri denti, rimarreste probabilmente a digiuno.

Anche negli atteggiamenti, le due categorie divergono. Il cittadino è snob, uno che se la tirocchia, capace di sarcasmo anche nelle partite più accese. Il campagnolo no, è teso, e quando è teso non ce n’è per nessuno. Il primo è un esteta distratto, il secondo un virulento passionale. Ormai l’avete capito. E’ così ovunque, anche nella scelta dell’abbigliamento: certi obrobri si vedono solo in campagna. Anche in città, però, i più estrosi mostrano scarpini viola. La globalizzazione, in questo caso, ha avvicinato le categorie.

In ultima istanza, ci soffermiamo sull’ultima liturgia: il post partita. Il cittadino spesso non ha un post partita. Ha altro da fare: sempre. Qualcuno prova a fermarli, ma non c’è verso. “Non riesco”, è la risposta che va per la maggiore. Il motivo è semplice: il cittadino non ha una dimensione calcistica. La sua non è la domenica nel pallone. E’ il pallone che, per un po’, occupa la domenica. Per il campagnolo no: la domenica è sacra. Dalla colazione all’aperitivo, tutto è in funzione della partita. Soprattutto l’aperitivo, momento di violente bevute, drastici riti cui nessuno può sottrarsi. Il campagnolo, l’abbiamo detto in precedenti editoriali, è l’homo aperitivus per eccellenza, specie umana che Mendel, risorgesse mai, si divertirebbe a studiare.

Ecco, potremmo proseguire, ma ci fermiamo qui. Una degna letteratura del calcio di campagna e del calcio di città proseguirà, l’argomento merita simpatici approfondimenti. Voi diteci la vostra, noi vedremo di non deludere le aspettative. Qualcuno ha da ridire? Siamo qui, aspettiamo notizie. Un cordiale saluto,

Riccardo Perandini

Direttore Editoriale Calcio Dilettante Veronese

mail: riccardo.perandini@libero.it