Mostrava i denti. Che non aveva. E sfoderava i muscoli. Sì, quelli li aveva. La leggenda di Joe Jordan, detto "lo squalo", nacque in un giorno di pioggia a Leeds. Allenamento del pomeriggio, cross basso dalla destra. Joe si tuffa per andare a prendere una palla indolente. Neanche fosse la finale della coppa del mondo. Ma lui era fatto così. Joe ci arriva. Ma con lui arriva anche il piedone di un improvvido marcantonio. Risultato? Pedata in bocca, due incisivi troncati di netto. Un male cane, l’inizio della leggenda. La leggenda dello “squalo” scozzese. Joe Jordan, passato da Verona ventidue anni fa. A digrignare denti. Ma non solo. A regalare speranze. Ma non solo quelle. Era il Verona del dopo-Dirceu, se n’era andato anche Nico Penzo, c’erano Galderisi e Iorio, ma "mica possono giocare assieme, no?". Al posto di Nico Penzo, arrivò lui, Joe Jordan. Aveva la benedizione del Milan, una dote pazzesca, la fama del grande giocatore. E quell’etichetta, facile da apprendere. Già, lo squalo è con noi. E giù a immaginarsi valanghe di gol e di applausi, vittorie e battaglie, lo squalo siamo noi.
Lo squalo è tornato a far parlare di sè. A due passi da casa sua, lui che è scozzese impavido. Lo hanno scelto al Portsmouth, per un periodo di breve interregno, fino a quando cioè non verrà scelto un nuovo manager. Lo “squalo” però, è vivo e lotta nella fantasia della gente gialloblù. Perché Jordan, incredibile ma vero, ha lasciato il segno nel cuore della curva. Senza gol, o quasi. Una sola rete realizzata alla Samp, ma questo non conta. "Joe è stato importante per quel gruppo che stava nascendo" ha sempre detto Mimmo Volpati. "Non conta solo il rendimento sul campo, conta anche quello che uno dà al gruppo, nello spogliatoio. Ci sono giocatori che restano tanti anni e non lasciano il segno e altri che si fermano magari per un anno, come Joe, eppure sono fondamentali. Lui lo è stato". Lo squalo diventa un esempio. Non tanto, quindi, per le sue imprese sul campo. Bagnoli conferma. "Un professionista serio, che ha sempre accettato le decisioni dell’allenatore, le ha rispettate e quando è stato chiamato in campo non ha mai deluso".
La leggenda dello squalo ha conquistato Verona. Dai, lo sapete perché lo chiamavano così. Non solo perché gli erano partiti i due incisivi. Ma per tutto il resto. Per il personaggio che Joe aveva saputo costruirsi addosso. Dopo che gli era rimasta una galleria in bocca, Jordan aveva deciso di farsi una protesi. “Così posso sorridere quando voglio io” raccontava ai cronisti dell’epoca. In campo, però, Joe ci andava senza protesi. Pronto a sorridere in faccia agli avversari. I capelli lunghi bagnati, la bocca spalancata, che lo faceva tanto truce e famelico. Affamato di gol. Sempre alla caccia di prede, a dire il vero, più veloci di lui nel fuggire via.
Jordan a Verona è passato davvero come uno squalo bianco. Veloce, quasi invisibile. Una rapida emersione e poi via. Arrivava dal Milan. Era reduce da tanto calcio inglese. Solo calcio inglese. Otto anni di Leeds, quattro al Manchester United, con la maglia del Red Devils la consacrazione. Quindici reti in una sola stagione. Un vero record per lui. Abituato alle gomitate, ai pali, alle traverse, ai quasi gol. Ma poi, arrivato in Italia, la storia è cambiata. Forse lo squalo è arrivato tardi all’appuntamento che conta. Due anni al Milan, dodici reti in tutto, prima di Verona e della grande fuga. Aveva voglia di patria. Delle sue nebbie, dei suoi silenzi, delle sue nuvole. Quelle di Morton, pochi chilometri da Glasgow, la casa dello squalo. Jordan ha smesso di giocare alla soglia dei quarant’anni. In Inghilterra si può. Oddio, non ti metti certo in testa di stare sul piedistallo. Scendi già di qualche scalino. E tutto funziona. Arrivi alla pensione tra gli applausi. Jordan ha perso i capelli lunghi neri, si è rimesso i denti. Da buon scozzese, dopo la guerra ha fatto la pace. Con se stesso.
Per i veronesi, per i tifosi dell’Hellas, resterà sempre quello della foto sgranata contro la Samp. Era un giorno uggioso, di quelli inglesi. Tutti avevano avvistato al largo lo squalo, nessuno, però, lo aveva mai visto da vicino. Jordan decise di mostrare i denti, una volta sola. C’era la Samp di Trevor Francis e Liam Brady, lo squalo decise di agire. Mancava poco alla fine, pochissimo. Sei minuti. Lo squalo colpì. La foto, quella foto, è ancora stampata negli occhi della curva. Bocca spalancata, lui che si allunga, il viso tirato, la sua maschera. Il gol. L’urlo. L’abbraccio dei compagni. Una rete, una vittoria, un sussulto, un’emozione veronese. Poi tornò a girare al largo. Dicono che gli squali non siano poi così cattivi. A volte solitari, a volte si uniscono al branco. Anche se non capita spesso. Joe prese la strada di casa. Passò lo Manica, e tornò tra la sua gente. I capelli erano ancora lunghi, i denti affilati. La leggenda poteva continuare. Arriva “the shark” bambini, e se volete farvi fotografare insieme ricordatevi di farlo sorridere. Le leggende che ridono sono ancora più belle.