L’allen-attore: tassonomia dell’uomo da panchina secondo la gestualità. Voi, di che categoria siete?
by Redazione Calcio Dilettante Veronese 26 Febbraio 2014Uomini da panchina. Una vita a bordo campo, col cronometro in mano, l’ugola vibrante, il cuore che batte a mille, il vestito elegante o la tuta, braccia agili e il pensiero che corre, sempre. Gli allenatori non sono una specie umana: sono una categoria dello spirito. Trascendono la realtà transeunte: vanno oltre. Come loro, non c’è nessuno. Quando l’arbitro fischia l’inizio, entrano in una dimensione parallela. Si dissociano dalla realtà che vivono marginalmente, in cui rientrano a sprazzi, a seconda di come va la gara. Nei loro gesti, è scritta la storia di chi vive il calcio oltre i limiti del campo da gioco. Una storia infinita, curiosa, disseminata d’aneddoti e di curiosità, di improperi e frasi indicibili, intuizioni e maledizioni. La parola ‘allenatore’, diciamolo col cuore in mano, andrebbe scritta così: allenattore. Sì, con due ‘t’. Perchè di attori parliamo: recitano una parte, urlano, si sbracciano, gioiscono, piangono o piagnucolano, consigliano o rimproverano. Il loro canovaccio è scritto dai ventidue mutandati che corrono lì, a pochi passi da dove sono appostati. Lo guardano e lo interpretano a modo loro, inscenando una vera e propria commedia umana. Proviamo a stilare una tassonomia.
Mestierante arguto e profondo conoscitore del culto che professa, c’è lui: il tattico. Si muove con movenze prese a prestito un po’ dalla danza e un po’ dalla musica, in cui, metaforicamente, ricoprirebbe il ruolo di direttore d’orchestra. Le sue braccia roteano nell’area, tracciando continue ellissi miste e rette perpendicolari. In mano, ha un libro di geometria: quando c’è da far girar palla prorompono in commoventi gesti circolari, quando l’attaccante deve incrociare, ecco che le rette si intersecano, come le sue mani. La stessa cosa succede quando la truppa deve rimpolpare la retroguardia. Spesso si sente un ululato: “Tornaaa!”. Ecco, in quel momento c’è, di norma, una gran confusione: di fatto, non è un bel connubio, quello tra musica, danza e geometria.
All’opposto dei tattici, ci sono figure epiche, creature che vivono nell’oltre di pascoliana memoria. Sono piccoli Baudelaire da panchina, immersi nel loro personalissimo “Spleen” esistenziale. Come albatros dalle ali tarpate, ci sono loro: gli impassibili. Che si vinca o che si perda, che si giochi bene o si giochi male, loro non fanno una piega. Professano una atarassia da panchina curiosa, a volte incomprensibile. Sono gli stoici del terzo millennio: svegliateli, quando l’arbitro fischia tre volte.
Poi, ci sono gli antipatici, figure bellicose per scelta. Insopportabili, inascoltabili, inavvicinabili. Urlano, imprecano, protestano, acclamano, rimproverano: non stanno zitti un secondo. I passanti sulla strada, pochi metri più in là, si chiedono se in campo ci sia il mercato del pesce. Una caciara continua, che, secondo arguti ragionamenti loro, infastidisce gli avversari, innervosendoli. Se è una tattica psicologica, non si può dar loro torto: a volte riescono pure. Ma che pizza: pensavamo bastasse il teatrino della politica, e invece…
Interessanti sono gli emotivi: passano dall’alfa all’omega in un secondo. Basta un passaggio riuscito o uno stop sbagliato e la loro vita cambia radicalmente. Dal vocabolario, purtroppo, hanno rimosso la parola ‘equilibrio’. Spesso fanno sorridere, tanto sono incomprensibili. Date loro un bel panino, a fine partita. Certi connubi del palato col salame sono una mano santa anche per le loro turbe. Provate per credere!
Tragici sono i presuntuosi: pensano di valere la Serie A, ma un infausto destino li ha relegati in Prima Categoria. Sognavano campi in erba tagliata corta e fitta: trovano, ben che gli vada, un campo rullato in terra battuta. Vorrebbero giri palla infiniti, comodini alla catalana (possesso del Barcellona), piramidi e diagonali, triangoli e mezze lune. Poi il capitano sbraita che in geometria tanti avevano il debito al liceo: che si fa ora?
Spettacolari sono i compagnoni: per loro il calcio è un pretesto per stare insieme. A prescindere da tutto e da tutti, risultati compresi, loro fanno splendere un sorriso smagliante. Spesso, sono rotondeggianti: amano il post gara come pochi, per non parlare delle cene di gruppo. Di norma, al giovedì sera sono in cattedra e nessuno può distoglierli. Anche perchè, diciamolo onestamente, hanno una marcia in più. Non si sa se in realtà capiscano di calcio: i giocatori, di norma, gli vogliono bene lo stesso. Vi siete chiesti il perchè? Rileggete qualche editoriale indietro: capirete sorridendo.
Infine, concludiamo con un tributo. L’omaggio va agli esperti: i nonni del calcio di oggi, maestri del calcio di ieri e pionieri di quello dell’altro ieri. Nelle pieghe dei loro volti c’è scritta la storia del nostro calcio; nel bianco dei loro capelli, quando ci sono, o nelle pelate, quando la calvizia ha preso il sopravvento, c’è il romanzo di litri e litri di sudore spesi. Spesso, sono l’emblema del buonsenso, della sincerità, di un cuore grande così. Per carità, non è tutto oro quello che luccica. Ma sono le icone della nostra storia: conserviamole e prendiamone esempio. Ne va del bene di tutti.
….manca qualcuno all’appello? Se sì, segnalate! L’indirizzo cui scrivere è sempre quello.
Un cordiale saluto,
alla prossima!
Riccardo Perandini
Direttore Editoriale Calcio Dilettante Veronese
mail: riccardo.perandini@libero.it