Panoramica sul calcio giovanile. Tra corse, lezioni di vita, panini al volo e un po’ di poesia

Panoramica sul calcio giovanile. Tra corse, lezioni di vita, panini al volo e un po’ di poesia

by 14 Ottobre 2013

Panoramica sul Calcio giovanile. Sì, scritto così: Calcio con la “C” maiuscola. Il vero calcio. Ci sono anche i ragazzini. Meritano il loro spazio: da parte nostra garantirlo è doveroso. Perchè senza i vivai il calcio non esisterebbe, non avrebbe futuro. Anche ai più giovani serve visibilità. Anche loro hanno diritto ad un segno tangibile del loro passaggio. Hanno diritto al ricordo, a dire “io c’ero”, a raccontare le loro storie. Sono le più belle. “Ti ricordi quando?”: tutto comincia così. L’adagio è quello di sempre.

Parlarne, per noi è un piacere. In quest’editoriale non ci sarà spazio per altro. Solo calcio giovanile: la scelta dell’argomento è univoca. Niente disquisizioni tecnico-tattiche. Non è nel nostro stile esprimere una posizione in merito: non è compito che ci spetta. A quello pensano gli allenatori, o chi per essi.

Noi ci concentriamo sul calcio vissuto, sulla dimensione che ha, il gioco più bello del mondo, per un ragazzino. Perchè il calcio non è solo un pallone che rotola. Lungo le sue traiettorie scorre, spesso, lo stucco della vita. Impossibile negarlo: in Italia ci sono settemila scuole calcio. Ogni anno, un esercito di trecentomila ragazzini inizia a giocare. La porta della dea Eupalla è sempre aperta. Ed è aperta a tutti, senza distinzioni. Perchè il calcio, in principio, è democrazia. Non potrebbe essere altrimenti. Lasciamo perdere cosa diventa poi: non è il momento adatto.

Proviamo a riavvolgere il nastro. Ogni volta che sul marciapiede cammina un bimbo col borsone rivediamo noi stessi anni fa. Gli inizi, le prime partite, la voglia di giocare finchè cala il sole. Ovunque si inizia così, spesso per strada, o per campi spelacchiati. A proposito: grande invenzione, i campi spelacchiati. Chi li ha creati merita il Nobel. Si può fare di tutto, nel campo spelacchiato. Si inventa, si crea, ci si scervella per rendere il gioco più divertente. Ci si sporca, d’erba e di fango, di ghiaia e di polvere. S’impara a cadere e a rialzarsi. S’impara l’arte calcistica per eccellenza, quella dei dribbling e delle finte improvvisate. Perchè è nell’improvvisazione che nasce il talento. Nell’istinto, nelle cose fatte perchè in quel momento vengono così. Dalla Terza Categoria alla Serie A, l’inizio è uguale per tutti. Non può cambiare.

L’età del settore giovanile è, forse, la più bella della carriera di un calciatore. I sacrifici non pesano mai, l’allenamento è un pretesto per stare con gli amici, la partita una sfida con se stessi e gli altri. Non è sempre così, lo sappiamo. Non abbiamo il paraocchi. C’è chi va in campo costretto dai genitori. Cosa utile, all’inizio. Per rompere il ghiaccio una spintarella ci vuole. Se poi la passione non s’accende, continuare a insistere è inopportuno e controproducente. Nei campi e negli spogliatoi, poi, l’educazione a volte latita. C’è il più bravo che deride il più scarso, il genitore invadente, la mamma chiacchierona, i dirigenti padri e padroni, che governano i bimbi come fossero oggetti. Non è tutto oro quello che luccica: non deve passare un messaggio sbagliato.

L’odierno intento però, è quello di pensare positivo. Perchè i risvolti positivi esistono. Eccome se esistono. Oggi li sottolineamo. Magari romanzandoli un po’, come facciamo di solito. Ma è una prosa che viene dal cuore, vera, sincera, condivisibile da tutti coloro i quali, almeno una volta nella vita, hanno indossato un paio di scarpini chiodati su un prato verde.

Perchè dopo il calcio giocato, c’è il calcio parlato. C’è un romanzo popolare scritto, vissuto, e perpetrato nel tempo grazie a tutti noi. C’è lo spazio della memoria, che non delude mai. Specie quando ricorda il dolce sapore del sacrificio, della gioiosa fatica, delle corse fatte. Già, le corse. Il calcio giovanile vive sulle corse. Dei bimbi in campo e delle mamme in macchina, affannate, dopo il lavoro, per portare il pargolo puntuale agli allenamenti. Le corse per le partite, i viaggi in trasferta, i panini al volo dopo scuola, lo zaino in una spalla, e il borsone in quell’altra.

E’ uno spettacolo che merita una degna letteratura. Ci sono passato anche io. Permettetemi una piccola dose di autoreferenzialità. La mia storia è anche la vostra. Magari anche quella dei vostri amici, dei vostri figli o nipoti. Anche io ho vissuto il calcio delle corse. Con mio padre al seguito, in macchina, per le strade di tutto il Veneto. Uscivo da scuola, come mille altri ragazzi, già vestito con la tuta di rappresentanza, lo zaino e il borsone. Un panino, o una pasta riscaldata al volo, e via. A volte nemmeno avevo il tempo per digerire che già stavo correndo. Perchè la scuola viene prima, sempre. Ma il calcio non può mancare. Viene dopo, ma arriva. Puntuale. Ai tempi del liceo classico Maffei di Verona, giocavo prima nella Belfiorese e poi nel Lonigo. Partecipavamo ai campionati regionali, e le trasferte erano di quelle toste. Che si giocasse al sabato pomeriggio o alla domenica mattina non cambiava: era sempre una lotta contro il tempo. Durante la settimana, passava il pullmino societario per portarci agli allenamenti. Grande invenzione, i pullmini societari. Facevo le versioni a casa e studiavo per strada, sul sedile posteriore, con la luce di servizio sempre accesa, con buona pace dell’autista, che, col riflesso, non vedeva nulla dallo specchietto retrovisore. Forse è anche merito suo se oggi ho un diploma e un lavoro da giornalista. Se ci penso, ancora mi commuovo.

Anche voi, se ci pensate, avete motivo di commuovervi. Che siate figli o genitori, parenti o amici, la vostra storia nel calcio sarà uguale alla mia. Fatta di levatacce alla domenica mattina, di partite nel fango, bronci in panchina, morale a terra dopo le sconfitte e gioie dionisiache dopo le vittorie. Fatta di sacrifici e di rinunce, ma anche di un’imperitura voglia di continuare.

Io, nell’improbabile veste di portiere, nel rude calcio della Seconda Categoria, gioco ancora. Ho la stessa voglia e la stessa mentalità di quand’ero piccolo. Quando è tempo d’allenarsi, il fanciullino di pascoliana memoria che è dentro di me bussa al cuore, e chiede ascolto. Quel ragazzino che prendeva a calci ogni cosa da piccolo vive ancora, mi corrobora l’animo, e corrobora l’animo di ognuno di voi. Non ho fatto strada, ma sono contento lo stesso.

Con buona pace di giornalisti, opinionisti, ben pensanti, procuratori, responsabili dei vivai, e chi altro per essi, nel calcio giovanile, l’unica cosa che conta è imparare divertendosi. Null’altro. Perchè, bravi o meno bravi, se si spegne la fiammella, non c’è talento che tenga. Se si garantisce il diritto al divertimento, pur nel rispetto delle regole, logicamente, si ottiene la predisposizione al sacrificio. Altrimenti, è tempo perso. Perchè, da giovani, un solo verbo, nella sintassi del calcio, è fondamentale: giocare. Giocare, e basta. Tenetelo bene in mente, se siete in contatto col calcio giovanile. Un domani, un bimbo che è diventato uomo, vi sarà grato per tutta la vita.

Riccardo Perandini

Direttore Editoriale Calcio Dilettante Veronese

mail: riccardo.perandini@libero.it