Flashback. Un minuto per fermare la lancetta del tempo, due per riordinare le idee. La mente corre all’indietro, a zig zag tra i passaggi di una vita intera. Sullo sfondo, leggiadre, scorrono le immagini di una gioventù trascorsa tra la Svizzera e l’Italia, tra viaggi, l’annata al Milan, compiti fatti in fretta e i tre mesi vissuti in Finlandia, a 17 anni. Maximiliano Pizzato si racconta, e il tuffo nel mare della memoria è docile, piacevole, come una bella canzone che, se ascoltata nei momenti giusti, non delude mai. Mille mondi e un filo conduttore, che lega Chiasso ai fiordi, il perbenismo meneghino alla pragmatica Vicenza. Ogni ricordo è un aneddoto, ogni esperienza una riscoperta: partiamo.
Max, hai trascorso la tua infanzia a Chiasso, in Svizzera. Qual è il ricordo che porti in cuore?
“ Una tranquillità assoluta, forse introvabile qui in Italia. Ho vissuto una gran bella infanzia, spesso all’aria aperta, avevamo modo di giocare finchè il sole non tramontava e non ci stufavamo mai. Per le vie di Chiasso ho iniziato a giocare a calcio, e lì è nata la mia passione per questo sport. Allora si poteva giocare ovunque, anche per strada, e non facevamo altro che stare insieme finchè si poteva ”.
Hai mosso i primi passi nel calcio a Chiasso, poi sei partito alla volta di Milano. A 13 anni eri al Milan, cosa porti dentro dell’esperienza coi rossoneri?
“ Senza dubbio la professionalità. Già allora ci trattavano da adulti, eravamo seguiti e in tutto l’ambiente si respirava un clima diverso rispetto ad altre squadre. Un’esperienza unica, peccato sia durata poco ”.
Al Milan restasti un solo anno, perché?
“ Non sono rimasto perché la mia famiglia aveva deciso di trasferirsi a Vicenza, il Milan mi aveva confermato, volevano tenermi in convitto. Per un cavillo burocratico però non s’è fatto nulla, e purtroppo è finita lì”.
Dopo le giovanili del Vicenza, sei partito per la Finlandia: cosa ti è rimasto dell’esperienza in Scandinavia?
“ Un ricordo di tre mesi fantastici. Giocavo nella loro Serie C, nello Jiipe, della città di Joesnu. Andò anche bene, raggiunsi persino la doppia cifra e pensai di rimanere in Finlandia. Dall’Italia però era arrivata una proposta dal Sudtirol, volevo provare a entrare nel professionismo qui e sono tornato, ma non se ne fece nulla. Peccato, sarei rimasto volentieri e se potessi ci tornerei anche ora a Joesnu ”.
Un calcio particolare, quello Scandinavo: tanto fisico, qualche usanza curiosa, non è così?
“ Verissimo, il livello della loro Serie C, se paragonato all’Italia, non supera una buona Eccellenza. Ma è comunque un calcio interessante, bello da giocare anche per alcuni aspetti curiosi: ad esempio, quando usciva la palla o c’era un’interruzione, partiva un disco con musica da discoteca per alcuni secondi. Non so per quale motivo, ma era davvero così. I tifosi poi, sono inermi, non esultano per un goal e né tanto meno protestano. Assistono alla partita come fossero ad un qualsiasi spettacolo, e una cultura del genere sarebbe da esportare ovunque”.
Saltato l’accordo col Sudtirol, hai iniziato un lungo viaggio tra i dilettanti: Montecchio, Leodari, Sandrigo, ora la Provese. Una nuova vita, insomma: rimpianti?
“ No, gli unici rimpianti che ho sono quello di non aver potuto continuare l’esperienza al Milan, e di non esser rimasto in Finlandia per aver ascoltato una falsa promessa. Ma non mi lamento: al Leodari sono stato benissimo, e al Sandrigo, cui sono rimasto tre anni, ho passato il periodo forse più intenso della mia carriera, pieno di soddisfazioni, rapporti autentici e vittorie. Rifarei quasi tutto, su questo non ho dubbi ”.
Concludiamo, Max. Ora sei nel veronese, a Prova di San Bonifacio: qual è il tuo obiettivo?
“ Voglio ripagare la fiducia che la dirigenza ha mostrato nei miei confronti. Qui c’è una società appassionata, sempre presente, un ottimo staff e un gruppo validissimo: c’è tutto per far bene, spero di non deludere ”.
Riccardo Perandini